Primo piano

L’incredibile universo di Clarissa

RIPROPONIAMO E PUBBLICHIAMO CON ESTREMO PIACERE L’ARTICOLO SCRITTO DA GABRIELE MARCHEGIANI PER ORVIETOSI.IT

Da Monterubiaglio all’Africa la musica che crea legami.

La voce di Clarissa al telefono mi fa credere che abbia più dei suoi 21 anni. Una voce forte, sicura, che dà all’interlocutore la sensazione di star parlando con una persona che sa il fatto suo. La voce di Clarissa al telefono sa di gioia, risuona come quella di chi sta parlando con il sorriso sulle labbra.
Mi avevano parlato genericamente di una ragazza di Monterubiaglio che suonava l’arpa celtica ed era molto brava, non sapevo altro di lei nel momento in cui ho composto il suo numero di telefono. In realtà quella che è venuta fuori è una storia che ha dell’incredibile, una biografia la sua talmente zeppa di contenuti, idee, cose fatte e in programma, che ancora adesso mentre scrivo mi chiedo come abbia fatto a far tutto in soli 21 anni. L’arpa celtica? Ho scoperto che questo strumento che ai poveri profani appare così inconsueto e ricco di fascino, in realtà è forse la cosa più standard di tutta questa storia.

La musica, innanzitutto. Non si può comprendere il mondo di Clarissa, senza comprendere il posto che la musica ha nella sua vita, direi anche nel suo essere. La musica in lei è ovunque, tutto è permeato di note e di suoni ed il suo mondo non è solo quello fisico che ci circonda, ma è un luogo talmente ampio che bisogna avere nozioni di astrofisica per comprenderlo. “L’universo è un concerto, i pianeti che ruotano emettono suoni, le balene in fondo agli oceani comunicano con un linguaggio musicale”. Clarissa Sabatini da Monterubiaglio mi dice che il limite è qualcosa di non innato, ce lo siamo imposto per pigrizia, per ignavia, per incapacità di vedere oltre la collina e di comunicare con chi era distante da noi. La musica, dicevo, è il suo alfabeto, la sua frequenza radio con la quale riesce a mettersi in ascolto del Tutto, quel dizionario senza eguali con il quale riesce a comunicare con il resto dell’universo. Dalle lezioni di pianoforte a sette anni fino ad imparare a suonare la kora, un’arpa africana a ventuno corde, ce ne corre di strada e probabilmente alla maggior parte dei musicisti non verrebbe mai in mente di imparare a suonare questo strumento.

Ma Clarissa ama il mondo innanzitutto, e più ancora ama le diversità che vi risiedono; in loro vede un’opportunità di crescita, di scambio e di conoscenza laddove la maggior parte vede solo confini, religioni e drammatiche migrazioni. Perché altrimenti ti metti a studiare lo swahili, una lingua della famiglia bantu parlata nell’Africa centrale e orientale? Lo swahili non è propriamente l’inglese e neanche il francese, lo spagnolo, il tedesco, il portoghese. Lo swahili è una lingua che per Clarissa rappresenta uno stargate, la porta delle stelle che mette in comunicazione mondi solo apparentemente diversi.

Tutto è uno, non esistono diversità, solo sfumature di una stessa cosa”. Alla faccia dei suoi ventuno anni, la ragazza ha le idee chiarissime, soprattutto sa come metterle in pratica. Perché se fai della musica il tuo alfabeto per comunicare con il resto del mondo, scrivere una canzone in swahili pur abitando a Monterubiaglio non è altro che la logica conseguenza, l’unica possibile, di quel che pensi. Basta vivere come le cose che dici, scriveva Alda Merini e Clarissa non potrebbe che sottoscrivere questi bellissimi versi.

Le difficoltà che ho avuto, e non sono state poche, non mi hanno piegata, ho compreso che l’unica strada possibile era quella di aprirsi al respiro dell’universo piuttosto che chiudersi nel proprio affanno“. Dalle prime lezioni di pianoforte, a quelle di percussioni, è stata tutta una crescita di conoscenze che sono maturate di pari passo con il suo Io, con la sua visione delle cose: djambé, tank, darbuka, steel drum, non sono strumenti ma linguaggi comunicativi per connettersi con le diversità che l’hanno sempre affascinata.
Africa, Asia, Caraibi, nord Europa, in questo suo personale risiko dove non ci sono carri armati e terre da conquistare, ma solo sfumature da cogliere e di cui cibare la sua incredibile sete di curiosità. Lo studio dell’esperanto, la lingua universale che “mi affascina perché ha una sua musicalità quasi latina” ma anche delle tecniche shiatsu, la suonoterapia,  che per lei sono come lezioni di nuoto per imparare a nuotare nell’oceano della conoscenza più profonda, partendo innanzitutto da quella di sé stessi. Cosa vuol fare da grande Clarissa? Nulla, se non continuare ad apprendere, a conoscere, a navigare, ad esplorare tutto ciò che abbia il sapore esotico, differente e inconsueto. La volpe de Il piccolo principe ci avrebbe fatto veramente una bella chiacchierata con lei, anche se forse non le avrebbe potuto confidare il segreto che solo con il cuore si va al fondo delle cose, all’essenziale. Probabilmente Clarissa lo ha sempre saputo.

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